Lettera all’Amico Albero
Caro Albero,
era da molto che volevo scriverti
ma senza un perché rimandavo
come quando possiedi un bene
e non gli dedichi la meritata attenzione,
sicuro che resterà sempre lì…
a scaldarti ugualmente il cuore.
Ricordi quando tanto tempo fa
sedevo solitaria all’ombra della tua chioma?
Gambe abbracciate al petto e mento sulle ginocchia
rannicchiata nel giaciglio tra le tue possenti radici.
L’aroma di resina era persistente…
fuoriusciva dalle tue ferite
e come miele colava sulle rugose cortecce.
Mi parlava il profumo dell’erba
misto all’agro dei tuoi frutti ancora acerbi che tanto amavo.
Tu generoso scuotevi il capo
e agitando la chioma chinavi le verdi fronde
quasi a coccolarmi nella estiva calura d’agosto
Rammento ancora…
le mie piccole mani che sceglievano con cura un sasso,
lo lanciavano con forza in un punto lontano verso il cielo,
e laddove ricadeva cominciavano a scavare.
Le esili dita affondavano con fatica
tra le dure zolle dell’arida terra
alla ricerca di chissà quali sbocchi su immaginarie finestre
o accoglienti mondi in cui incamminarmi fiduciosa,
ma trovavo solo brulicanti e operosi formicai
e vecchie monetine incrostate e corrose
che ripulivo e conservavo come tesoro antico
in un barattolo di latta ammaccato.
Ora cerco il tuo nome ma non riesco a trovarlo
tra le pagine accanto ad altri artisti noti.
Non sei forse tu un illustre pittore?
I tuoi mantelli sono tavolozze di colore
in cui intingere pennelli intrisi di segreti sogni.
Quando poi sussurra il vento tra le tue generose braccia
scrivi con passione le poesie più belle,
racconti di luci e ombre, di aurore e tramonti…
bellezza racchiusa in uno sguardo
che diviene melodia per giovani amanti,
per chi sa accogliere senza appassire.
Voglio ora ringraziarti caro Albero,
mi hai nutrita… riscaldata, dato riparo…
accompagnata nel mio tormentato silenzio,
hai parlato direttamente al mio cuore
con la saggezza racchiusa nel tuo seno.
Sei il genitore supremo di questa folle umanità
che sradica prepotente le radici delle tue stagioni
per appagare una forsennata bramosia
verso uno sterile traguardo privo di sapore
dove la vita diviene trapasso…
…senza di te…
Perdonaci Amico mio…
Finché mi sarà donato continuerò a perdermi
nel tuo verde carico di speranza e vita.
© Betty Liotti
Ottobre 2016